Il Porto di Genova è molto importante per le aziende del settore, per l’occupazione e per il territorio. Questo è un dato che si evince facilmente da un recente studio che abbiamo fatto per Spediporto e che sarebbe banale se, invece di essere confortato dai numeri, fosse solo l’espressione di una valutazione emotiva.
L’importanza del porto è facilmente intuibile, per esempio, guardando questo brevissimo filmato che abbiamo realizzato che mostra la densità di aziende collegate alle attività del porto a Genova e nella sua provincia.
In ventisette secondi ( compresa anche la nostra infida pubblicità ) si ha una chiara idea di che cosa possa significare il Porto per moltissimi di noi. Ma fino a qui l’ingenuità non c’entra: abbiamo preso dei numeri, abbiamo fatto delle valutaizoni e le abbiamo trasferite su una carta geografica “tanto per fare un po’ di scena”.
Quanto detto serve ad introdurre la “Teoria Ingenua” alla quale si fa riferimento nel titolo.
Analizziamo per un momento tutti quei segnalini che vediamo sorgere tra i palazzi della città e notiamo che, tra essi, vi sono oltre 300 spedizionieri e quasi 1200 trasportatori.
Tutti, più o meno strettamente, lavorano con il porto.
Poche sono le realtà di rilievo.
Non dico che si contino sulla punta delle dita delle mani, ma fanno fatica a stare in quelle delle mani e dei piedi. Prendetela come una iperbole che non si distacca molto dalla realtà. La maggior parte delle aziende è di tipo “padronale”, senza voler dare una connotazione negativa al termine, con un numero limitato di addetti, con fatturati e marginalità anche di un certo interesse, senza dubbio.
La proprietà fa questo ragionamento: “con due o tre clienti buoni si vive bene, e quando deciderò di ritirarmi cederò l’azienda a qualcuno dei miei dipendenti più in gamba garantendomi una rendita per il futuro”. Una prospettiva lecita ed onesta.
Peccato che sia una illusione.
Un mio cliente, di quelli che dicono che bastano due o tre clienti buoni, mi ha telefonato qualche giorno fa, disperato, perché aveva perso uno di quei due o tre. E con esso il 20% del suo fatturato e dei suoi utili. Un grande gruppo si è presentato alla porta del suo cliente e glielo ha portato via in un batter d’occhi grazie ai suoi prezzi competitivi.
Ecco chi è abituato fa fare la concorrenza sui prezzi, chi si toglie dieci euro di tasca, il pane dalla bocca, per togliere il lavoro a chi già si è tolto altri dieci euro di tasca, grida allo scandalo. Ma il grande gruppo non fa la concorrenza sui prezzi: fa la concorrenza sui costi: processi più efficienti, standardizzazione, sistemi informatici, acquisti migliori.
Un terreno sul quale le piccole realtà non possono competere.
E questo fa crollare il sogno: la piccola azienda morirà non appena il “padrone” si ritirerà, altro che vendita e vitalizio; forse chi lo segue prenderà le redini, ma l’esodo dei clienti verso gruppi più strutturati sarà inevitabile. Spesso vi è un legame di amicizia tra il “principal” dello spedizioniere o del trasportatore ed il suo cliente, ma quando questo legame viene meno ciò che conta è solamente il prezzo, un prezzo competitivo, che è difficile da ottenere.
Il bravo velista non si lamenta del vento e non aspetta che il vento cambi: aggiusta le vele.
Così è il momento di cambiare le cose per poter essere competitivi sul costo. E poi anche sul prezzo, se è il caso, senza però impoverire il mercato ma rendendolo più ricco di contenuti e margini di guadagno.
Vi faccio vedere un disegno che rappresenta una situazione reale, non che ci siamo inventati per fare figura.
Ma guarda un po’ se due spedizionieri, per seguire tre clienti ( di cui uno condiviso probabilmente ad insaputa l’uno dell’altro ) debbano usare dieci trasportatori. Come si fa a fare efficienza? Le parole chiave sono molte:
cooperazione, consociativismo, analisi, informatica…
Ognuno metta le sue. Oggetto dei prossimi post sarà il “cosa fare” per raggiungere questi risultati.